Il ponte Romano di Decimomannu

La prima notizia sul ponte appare nella Geografia della Sardegna, scritta da Giovanni Francesco Fara nella seconda metà del sedicesimo secolo. In quell’epoca il ponte aveva tredici arcate e raggiungeva una lunghezza di circa 160 metri.

Nella seconda metà dell’Ottocento alcuni studiosi lo ricordano ancora in uso, deprecando il suo stato di abbandono e auspicando degli interventi di restauro. Sino all’inizio di questo secolo il ponte era ancora transitabile, come dimostrano alcune foto d’archivio. Negli ultimi decenni, a causa di lavori di sistemazione idraulica, il monumento è stato in parte distrutto o interrato con la costruzione di argini artificiali.

Oggi sono visibili, per chi proviene da Decimomannu, le prime tre arcate del ponte, che sono state oggetto di lavori di restauro curati dall’amministrazione comunale nel 1995. I resti di un altra arcata sono riconoscibili, nei periodi di siccità, nell’alveo del vicino corso fluviale, chiamato Rio Sesi dai locali, e Flumini Mannu in alcune carte geografiche.

Sono riconoscibili più interventi di restauro effettuati lungo i secoli, ai quali corrispondono diverse fasi edilizie. Tali lavori erano periodicamente necessari in questo genere di costruzioni, particolarmente soggette ai danni provocati dalle inondazioni.

La struttura originaria venne realizzata con blocchi squadrati di calcare messi in opera a secco ed è conservata ancora oggi nelle arcate e nei resti in parte crollati all’interno dell’alveo del Rio Sesi. In un secondo momento il ponte venne ricostruito con l’utilizzo di blocchi antichi e l’inserimento di zeppe e malta cementizia; in alcune parti vennero sistemati dei ciottoli fluviali affogati nello stesso tipo di malta, in modo da creare una sorta di intonaco. In altri punti i ciottoli vennero inseriti nella muratoria senza la malta a vista, probabilmente in un periodo successivo. L’ultima fase di restauro, quella attuale, è riconoscibile per l’uso di blocchetti squadrati in arenaria.

Nel lato Nord Ovest è visibile uno sperone frangiflutti, elemento utilizzato dagli ingegneri romani per diminuire la pressione esercitata dalle acque sulle strutture murarie. La carreggiata è costruita dai ciottoli fluviali pressati direttamente sul terreno. Sono ancora presenti, sotto la strada sterrata attuale che conduce al paese, denominata nelle mappe Strada Comunale del Ponte Romano, tracce dell’acciottolato antico. Questo è affiancato da un muro di delimitazione destinato a proteggere la via dalle inondazioni. Anche in questo caso sono riconoscibili due fasi edilizie: la più antica in blocchi squadrati messi in opera a secco, contemporanea alla costruzione originaria del ponte; la seconda realizzata con la stessa tecnica dei restauri, cioè con ciottoli fluviali affogati nella malta. Durante i lavori di restauro del 1995, sono stati individuati al di sotto di questo muro resti di altre murature realizzate con grossi blocchi squadrati (ora ricoperti), di non precisabile interpretazione, ma che fanno pensare ad opere viarie ed idrauliche più antiche dei resti oggi visibili. Non è possibile datare con precisione la costruzione del ponte, vista l’assenza di fonti storiche ed epigrafiche che lo riguardano. Dai confronti con strutture simili meglio databili esistenti in Sardegna, è plausibile proporre una datazione non precedente all’impero di Augusto, tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del I d.C.